Francesco Damiani: un colosso senza fortuna

Nella storia recente del nostro pugilato, una menzione speciale la si deve certamente a Francesco Damiani.

Il peso massimo di Bagnacavallo, Rimini, è entrato e rimarrà per sempre nel cuore degli appassionati non tanto per le imprese che è riuscito a compiere, ma per il modo in cui gli sono sfuggite alcune opportunità che avrebbero potuto consentirgli di iscrivere il suo nome nell'albo d'oro dei grandissimi di ogni tempo.

Nato nell'ottobre del 1958, Damiani si affida sin da giovanissimo alle cure del maestro Elio Ghelfi, al quale, insieme all'indimenticato manager Umberto Branchini, molti pugili devono ancora oggi parte dei loro successi (tanto per citare due nomi, Loris e Maurizio Stecca). Peso massimo naturale, Francesco non può peraltro contare su un fisico eccessivamente tonico e muscoloso, del quale invece furono dotati altri colossi del pugilato di casa nostra, come Cavicchi e, soprattutto, come Carnera. Fin dagli inizi della sua carriera, dunque, si ritiene opportuno lavorare maggiormente sull'impostazione tecnica e stilistica, piuttosto che sul potenziamento fisico, anche se i colpi di Damiani, pur non essendo devastanti, si dimostrano precisi e lasciano il segno.

Le scelte iniziali sull'impostazione del gigante di Bagnacavallo danno i loro frutti: tra i dilettanti Francesco scopre ben presto di non avere rivali in Italia, e sono suoi i titoli nazionali per diversi anni di seguito, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Apprezzato anche a livello europeo ed internazionale, per Damiani si concretizza la possibilità di raggiungere un primo grande traguardo nel 1984, ai giochi olimpici di Los Angeles. In quella competizione, che sarebbe stata dominata dal team statunitense, Damiani si comportò in maniera egregia, facendosi battere soltanto in semifinale dall'americano Tyrell Biggs, già suo avversario in competizioni precedenti con esito identico. Per Francesco rimane la soddisfazione di aver conquistato comunque la medaglia di bronzo, ed il desiderio di iniziare una nuova avventura tra i professionisti.

Toltasi la maglietta ed il caschetto all'inizio del 1985, Damiani consegue una serie di facili vittorie con avversari per la verità piuttosto inconsistenti, ma è chiaro che Branchini cerca inizialmente di costruire il record di Damiani con operazioni relativamente a basso rischio. Utile, in questa prima fase della carriera professionistica, l'apporto dell'anziano campione dei pesi massimi Jimmy Ellis, con il quale Damiani ha la possibilità di fare i guanti in svariate occasioni.

Naturalmente, ben presto ci si rende conto che è necessario alzare la qualità degli avversari, e ciò avviene nel 1987, anno fondamentale nella carriera di Francesco Damiani per la conquista del titolo europeo dei pesi massimi, ai danni dello svedese Anders Eklund e per la vittoria sul quotato pugile statunitense James Broad, uno dei più validi sparring partners di Mike Tyson, che proprio nell'agosto dello stesso anno diventava il campione assoluto dei pesi massimi (vittoria unanime ai punti in 12 riprese contro Tony Tucker) e nell'ottobre successivo trovava il tempo di frantumare le ambizioni mondiali dell'avversario storico di Damiani, Tyrell Biggs, che uscì da quel match battuto per ko al 7° round ed anche piuttosto malconcio.

Prosegue intanto, nel 1988 la carriera del gigante romagnolo, che ormai in Europa non ha più avversari validi; l'unico è forse l'inglese Frank Bruno, pugile osannato dai suoi connazionali forse oltre i suoi meriti, ma la possibilità di un incontro di quest'ultimo contro Tyson, e la mancanza dei presupposti economici per un match che avrebbe potuto essere entusiasmante, fanno sfumare ogni tentativo di trattativa.

Nell'ottobre del 1988, sul ring di Milano, Damiani ha finalmente la possibilità di riscattare la sconfitta di Los Angeles, allorchè gli viene posto di fronte Tyrell Biggs. Damiani offre una delle sue prestazioni migliori e riesce finalmente a superare l'ostacolo. Arresto per ferita al 5° round. Vittoria leggittima e meritata, nome prestigioso sul record, ma è chiaro che, senza nulla togliere a Damiani, Biggs non poteva essere lo stesso dopo la lezioni inflittagli da Tyson 12 mesi prima.

Nel 1989 Francesco è comunque uno dei nomi più accreditati a livello mondiale, ed è ben visto anche oltre oceano, dove gli statunitensi lo guardano con favore non tanto per le qualità pugilistiche ma per il colore della pelle, in un confronto tra il bianco e il nero al quale gli americani, nel pugilato e soprattutto nei pesi massimi, sono da sempre molto sensibili.

Peraltro i piani di Tyson non includono Damiani, ma puntano su Frank Bruno, battuto il 24 febbraio sul ring di Las Vegas in 5 riprese (in un match che mostrò peraltro che la mascella di Tyson non era di granito puro) e su Carl Williams, fulminato in soli 93 secondi sul ring di Atlantic City il 21 luglio.

Ecco che allora la neonata WBO offre a Damiani la possibilità di affrontare il sudafricano Johnny Du Plooy, e di proclamarsi campione del mondo per questa nuova federazione. Il che avviene puntualmente nel maggio del 1989 sul ring di Siracusa: ko alla terza ripresa. La vittoria di Damiani provoca grande clamore, e viene paragonata addirittura alle imprese di Primo Carnera, ma forse non serve scomodare paragoni così lontani per rendersi conto che le epoche e soprattutto il modo di gestire la boxe sono molto diversi tra i due pugili e che comunque, l'autentico campione del mondo rimane, con il beneplacito dello stesso Damiani, Mike Tyson.

Si è parlato più volte di una sfida del nostro colosso contro Tyson, ma non sembra che siano mai state avviate serie trattative in proposito. Difficile prevedere quale sarebbe stato l'andamento di un match del genere, ma personalmente credo che, con tutta la simpatia per Damiani, sarebbero state poche le possibilità di vittoria per lui in quel periodo, dove Tyson sembrava un inarrestabile carro armato pronto a schiacciare l'avversario al primo colpo di gong. Anche il tipo di pugilato sviluppato da Damiani probabilmente non era adatto a contenere una furia come Tyson, mentre, forse, Francesco avrebbe potuto disputare un match molto più equilibrato contro pugili come Holyfield, che pure determinati e pericolosi, non avevano l'aggressività di Tyson.

La storia ci ha poi dimostrato, servendosi di James Douglas e, anni dopo, dello stesso Evander Holyfield, che Tyson non era poi imbattibile, ma i le perplessità su una sfida Damiani-Tyson erano quantomeno leggittime.

Consapevole di poter sviluppare un buon pugilato, ma demotivato dalla mancanza di sfide significative, Damiani rallenta molto l'attività, battendosi solo tre volte dal maggio dell'89 fino all'ottobre del 90: gli avversari, relativamente modesti rispondono al nome di Daniel Netto (argentino), Tony Morrison (canadese) ed Everett Martin, statunitense eterno collaudatore di pugili ambiziosi che Damiani atterra in due riprese.

La buona prestazione e l'ascesa di nuovi pugili reduci dalle olimpiadi di Seoul del 1988 danno a Damiani la possibilità di difendere il titolo in terra d'America, precisamente ad Atlantic City, contro l'imbattuto Ray Mercer. L'incontro è significativo sia per la qualità dell'avversario, medaglia d'oro nei pesi massimi alle olimpiadi di Seoul ed imbattuto in 15 incontri da professionista, sia soprattutto per le possibilità di "mercato" che si aprirebbero a Damiani in caso di vittoria.

L'incontro con Ray Mercer, datato 11 gennaio 1991, è un episodio chiave (insieme al bronzo di Los Angeles) nella serie degli appuntamenti mancati di un soffio dal nostro pugile: costretto ad un ritmo sostenutissimo dal più possente e vigoroso avversario, Damiani riesce a tenergli testa talmente bene che, alla fine dell'ottavo round, i giudici lo vedono in vantaggio rispetto a Mercer. Sembra finalmente concretizzarsi la possibilità di un grande successo quando nel nono round, Mercer sfodera un maligno montante sinistro che colpisce Damiani di striscio al naso. Il colpo non sembra straordinario, ma Damiani che, dapprima sembra incassare, si accascia dopo qualche frazione di secondo al tappeto con le mani tra i guantoni. Si saprà dopo che il colpo avrebbe provocato una deviazione del setto nasale di Damiani che, in difficoltà a respirare, non si sente in grado di riprendere l'incontro. E' un Damiani lucido e presente a sé stesso quello che ascolta il conteggio dell'arbitro Rudy Battle e che vede la corona WBO dei pesi massimi posarsi sul capo di Mercer.

Sfortunata conclusione di un incontro che vedeva il nostro pugile in vantaggio, e nel quale la sorte avversa, sotto forma di montante sinistro, nega al nostro pugile la soddisfazione della vittoria e probabilmente la possibilità di incontri più importanti.

Sul finire dello stesso anno, la sorte sembra voler restituire il maltolto a Damiani: in preparazione per un incontro previsto per l'8 novembre contro Evander Holyfield, per il titolo mondiale dei pesi massimi, Mike Tyson si infortuna ad una costola rendendosi indisponibile. Holyfield non è disposto a rendere vane 8 settimane di allenamenti e chiede un'altra data, un'altra sede, un' altro avversario. Gli organizzatori riescono a promuovere, a tempo di record, un incontro fissato per il 23 novembre sul ring di Atlanta, città nella quale Holyfield risiede, e quale avversario del campione scelgono proprio il nostro Damiani. Una buona scelta, motivata sia dalla buona impressione lasciata nell'incontro con Mercer, sia dal buon livello di preparazione del nostro pugile, per il quale è in programma un incontro di rientro contro Mike Weaver per la stessa data.

Senza pensarci troppo, Damiani ed il suo clan partono per Atlanta, dove, nei primi giorni di allenamento, durante alcune sedute di sparring, il pugile conferma il buon livello di forma contro lo sparring partner James Pritchard. Questo, insieme alla speranza che Holyfield possa magari prendere sotto gamba il match, contribuire a creare un clima di ottimismo.

Ma il destino avverso, questa volta travestito da pedana di appoggio instabile, fa inciampare Damiani durante una ripresa al sacco, provocandogli una distorsione alla caviglia destra (che più di una volta durante la carriera gli aveva procurato fastidi) che rende impossibile per Damiani presentarsi sul ring in condizioni di forma accettabile, a soli 9 giorni dal grande incontro.

A nulla valgono i tentativi di convincimento degli organizzatori, che per la seconda volta vedono saltare in aria i loro piani, contro l'orgoglio ammirevole di Damiani che rifiuta di salire sul ring con una menomazione di quel genere, rinunciando consapevolmente ad una borsa di 850.000 dollari e, probabilmente, alla possibilità di far parte del giro mondiale.

E' un Damiani fortemente deluso quello che lascia Atlanta e, ancora una volta, l'America a mani vuote, senza aver avuto nessun peso determinante negli avvenimenti, ma in balia di un destino avverso che pare non volerne sapere di sorridere al nostro campione.

Nel 1992 Damiani firma un accordo con il promoter Don King, che, a corto di pesi massimi dopo la disavventura di Tyson, rinchiuso nel carcere di Plainfield nell'Indiana, recluta quanti più uomini possibili sopra i 100 chili, nella speranza che dalla quantità venga fuori il pugile di qualità in grado di fermare lo strapotere di Hoyfield e della sua organizzazione, la Main Event, controllata dalla famiglia Duva (Lou, allenatore, Dan e Dino i manager). Damiani rientra dunque nel progetto di King che lo riporta nell'ingrata terra d'America due volte nel 1992: nella prima uscita, il 23 aprile, Damiani si sbarazza del mediocre Greer in una sola ripresa; nel secondo incontro, il 13 settembre, nel sottoclou di Chavez-Camacho, Damiani riesce a superare l'ex campione WBA Greg Page ai punti in 10 round.

E' un incontro che mostra un Damiani ancora valido tecnicamente, ma forse un po' logoro sul piano fisico. Del resto, anche l'avversario, coetaneo di Damiani, non è in condizioni di forma strepitose, i pregi offuscano i difetti per cui la prestazione di Damiani finisce per accendere entusiasmi e nuove speranze.

Speranze destinate a frantumarsi, per l'ultima volta, ed ancora in terra americana, sotto i colpi, rozzi ma pesanti dell'americano Oliver Mc Call, in una sorta di lotta fratricida dal momento che anche Mc Call è un pugile promosso da Don King.

Soltanto nella prima ripresa Damiani riesce a tenere a bada l'avversario, ma nel corso delle riprese successive, il pugilato di Mc Call, pugile non certo fine stilisticamente ma molto solido e fisicamente preparato, le resistenze di Damiani si affievoliscono sempre più fino a quando, nell'ottavo round, un destro più preciso degli altri spinge il nostro pugile a girare le spalle, e con un gesto plateale ed anche un po' malinconico, a mandare a quel paese l'avversario e quel mondo di pugni del quale ormai non si sente più parte. Da quel giorno, Damiani non è più risalito sul ring.

Che dire della carriera di Francesco Damiani? La sensazione è che il nostro campione abbia raccolto meno di quanto meritasse, e questo è dovuto in parte alla cattiva sorte che gli ha giocato brutti scherzi nei momenti chiave della sua carriera, ed in parte alla sfortuna di essere capitato nell'era di Mike Tyson, nei confronti del quale, anche durante il possesso del titolo WBO, è stato sempre considerato una figura di secondo piano.

Probabilmente ha ragione chi sostiene che la carriera di Damiani sia stata gestita forse con troppa prudenza, facendo si che il pugile non arrivasse moralmente corazzato ad alcuni appuntamenti (leggi Mercer) o vi arrivasse troppo tardi (vedi Mc Call). Personalmente ritengo che Damiani avesse le qualità per battere tutti i pugili che ha incontrato e che, magari con una preparazione atletica che lo rendesse un po' più solido, avrebbe anche potuto battersi con buone possibilità con gente come Bowe, Moorer, Bruno, forse lo stesso Douglas e anche quell'Holyfield che era arrivato ad un passo dall'incontrare e che tanta amarezza gli ha lasciato; esente da critiche o dubbi rimane invece la sua solidità morale, capace di fargli rifiutare di salire sul ring impreparato e di non poter dare il meglio, a costo di rinunciare all'opportunità di un bel guadagno e di incontri con avversari più importanti. E' stato detto che opportunità del genere si devono cogliere quando arrivano, qualcuno ha anche accusato Damiani di aver rinunciato perchè in fondo aveva paura: il comportamento di Francesco dimostra l'esatto contrario, visto che non tutti rinuncerebbero a un assegno di oltre un miliardo per l'orgoglio di ben figurare e di potersi esprimere al meglio. Il termine giusto non è paura, ma è coraggio.

Rimane comunque il ricordo di un pugile generoso sul ring, di un serio professionista capace di regalare emozioni a chi seguiva i suoi incontri, di un personaggio simpatico, genuino e disponibile, nella migliore tradizione degli uomini della Romagna e di un combattente leale che non ha mai avuto bisogno di assumere atteggiamenti sprezzanti nei confronti dell'avversario o di rilasciare dichiarazioni provocatorie: quando la sorte non gli ha voltato le spalle, ha sempre preferito lasciar parlare i pugni.

 

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